Vogliamo proporre una riflessione sull’importanza del trattamento precoce e preventivo dei sintomi da stress e degli stati depressivi e ansiosi, legati alla gravidanza e al post parto, al fine di promuovere la costruzione di una relazione primaria tra la mamma e il suo bambino che permetta di porre le basi per una struttura di personalità sana e, quindi di scongiurare l’insorgere della psicopatologia, sia in età evolutiva sia in età adulta.
Curare la costruzione del legame mamma-bambino è infatti l’unica vera prevenzione primaria in ambito psicopatologico, poiché le basi dell’organizzazione psichica di un individuo, con il loro substrato neurofisiologico, si formano nei nove mesi di gestione e nei primi due anni di vita del bambino. È da ciò che accade in questo periodo che si determina la capacità immediatamente futura di reagire ai piccoli e grandi traumi a cui la vita di espone, e quindi, lo sviluppo più o meno sano della psiche.
Perciò ha un valore preventivo esponenzialmente maggiore sull’insorgere delle gravi psicopatologie sostenere o curare, all’inizio del suo essere mamma, una donna che ha difficoltà nella sintonizzazione emotiva con il suo bambino, che fatica cioè a comprendere i suoi reali bisogni fisici e psichici, che fatica a identificarsi in modo funzionale con lui, a mettere in parola i suoi stati d’animo, a interpretare per lui il mondo esterno e ciò che accade dentro di lui. Una mamma che è preda di proprie ansie o tristezze interiori non è nelle condizioni psicologiche di contenere e risolvere le angosce precoci del bambino, di promuoverne il pensiero e generare la speranza (se volgiamo dirla con Donald Meltzer, facendo riferimento a quelli che sono i compiti evolutivi della famiglia).
Da sempre la psicologia clinica, nella ricerca clinica e nella letteratura specialistica, si è occupata ampiamente dei disturbi che insorgono dopo il parto. Ha ampiamente descritto sia i sintomi transitori del cosiddetto “maternity blues” o disforia post parto (la cui incidenza oscilla tra il 39 e l’85 % della popolazione, che emerge solitamente nella prima settimana dopo il parto e ha una durata variabile tra le poche ore ed alcuni giorni: disturbi del sonno, mancanza di energie, inappetenza, stanchezza eccessiva anche dopo aver riposato, uno stato mentale caratterizzato da ansietà, paura e preoccupazione, confusione, eccessiva attenzione ai cambiamenti fisici, nervosismo e tristezza che inducono facilmente pianto, iperattività, irritabilità, ipersensibilità e scarsa interazione con il bambino), sia quelli più duraturi della depressione post partum (che ha un’incidenza oscillante tra il 10 e il 28% della popolazione, un esordio a distanza di alcuni giorni, settimane o addirittura mesi dal parto e una durata che può raggiungere l´anno: i disturbi fisici associati a questo quadro sintomatologico sono più gravi e implicano frequenti mal di testa, intorpidimento, palpitazioni e iperventilazione, mentre quelli psicologici comportano la sensazione di vuoto, la percezione di essere inadeguate, di non poter far fronte alle situazioni, una preoccupazione eccessiva per la salute del bambino, pessimismo, difficoltà di concentrazione, perdita di interessi personali, pensieri bizzarri o di suicidio. In alcuni casi possono anche manifestarsi sintomi gravi quali attacchi di panico, ostilità verso gli altri, fobie, allucinazioni, incubi, paure eccessive, senso di estraneità, paure irrazionali per il bambino) e quelli più gravi della psicosi puerpuerale (che ha un’incidenza dello 0,1%, che assume frequentemente caratteristiche cicliche depressive e maniacali, che può manifestarsi, occasionalmente, in forme schizofreniche e la cui insorgenza è grave e rapida, solitamente entro i primi 3 mesi dal parto: nell’80% dei casi si presenta tra il terzo e il quattordicesimo giorno, dopo un periodo asintomatico I segni fisici della psicosi puerperale comportano il rifiuto del cibo, depressione, comportamenti maniacali caratterizzati da un’energia eccessiva e frenetica e dall’incapacità di interrompere un’attività. Lo stato mentale è contrassegnato da estrema confusione, perdita di memoria, incoerenza, allucinazioni e bizzarrie).
Oltre a questi quadri sintomatologici più conosciuti e indagati in letteratura, il momento del parto, in quanto tale, può essere considerato come un evento dalla forte carica stressante che può generare una serie di sintomi che, in certe circostanze, evolvono in un vero e proprio disturbo post traumatico da stress.
Esso implica la presenza di sintomi che portano a rivivere l’evento traumatico, sintomi di evitamento e di attenuazione della reattività generale, sintomi di aumentato arousal, che fanno sì che, da un lato, l´esperienza stressante e traumatica si rinnovi nella mente e nelle emozioni attraverso l´emergere improvviso di immagini pensieri, percezioni, sogni, sensazioni spiacevoli, episodi di flashback, dall’altro lato, per far fronte alla carica di ansia connessa al riemergere di sensazioni e pensieri negativi, l´individuo tenta di evitare gli stimoli associati al trauma e quindi sfugge luoghi, persone e situazioni che potrebbero rinnovare il ricordo, pone barriere all´emergere delle emozioni e finisce per manifestare un atteggiamento generalizzato di distacco ed estraneità verso gli altri, e verso il bambino.
La presenza di sintomi di evitamento propri del PTSD, che spingono ad allontanare il ricordo di una esperienza dolorosa quale il parto e, di conseguenza, anche stimoli associati all´esperienza dolorosa, spiega quelle reazioni di distanziamento e di disinteresse verso il nuovo nato e verso il partner investiti entrambi, in modo del tutto involontario e indiretto, di emozioni negative.
Reynolds (1997) sostiene che una diagnosi precoce di PTSD, che si palesa precocemente nella difficoltà di interazione della madre con il suo bambino, in persistenti dolori addominali, nella reticenza della neo mamma a sottoporsi alle visite o negli improvvisi attacchi d’ira, potrebbe prevenire seri problemi di relazione con il bambino e anche il ricorso ad aborti volontari o richieste di interventi di parto cesareo, in caso di gravidanze successive.
In sintesi la ricerca ha evidenziato quali fattori di rischio per l’insorgenza di un PTSD: la difficoltà e la lunghezza del parto, le complicazioni connesse allo stato di salute del bambino, bambini ad alto rischio che vengono ricoverati in TIN, un parto difficile e doloroso che esita in un parto cesareo.
Ma sottolinea che l’esperienza del parto, in quanto emozionalmente attraversata da una forte carica di stress, dal timore del dolore fisico e dalla preoccupazione per il nascituro, può essere considerata in quanto tale una condizione potenzialmente traumatica.
Non vanno quindi sottovalutati: il peso delle aspettative circa tale esperienza, il modo in cui viene affrontata, la reazione individuale al dolore fisico, la percezione soggettiva di perdita di controllo sulla situazione, la intrinseca minaccia della propria integrità corporea e la mancanza di informazioni in merito a ciò che accadrà o che sta accadendo. Il senso di pericolo (per se stesse, per il proprio bambino), la mancanza di controllo (sul corpo durante il parto, sul corpo durante la montata latte), il senso di impotenza (rispetto al pianto del bambino, all’arrivo o meno del latte, alla ripresa fisica dopo il parto), il senso di inadeguatezza (rispetto al parto, alle spinte, alla gestione del dolore durante il parto, ai bisogni del neonato e al suo allattamento), il senso di colpa (per i rischi vissuti dal bambino durante il parto e/o la gravidanza) possono strutturarsi in Cognizioni Negative potenzialmente ostacolanti.
Questo insieme di fattori, in quanto implica una valutazione cognitiva negativa dell’evento parto, potrebbe essere responsabile della comparsa dei sintomi da stress dopo il parto se le cognizioni e i vissuti negativi legati all’evento non vengono adeguatamente elaborati.
L´esperienza del parto presenta, in quanto tale, alcune caratteristiche che potrebbero innescare meccanismi elaborativi non completi. Le emozioni positive suscitate dalla nascita di un figlio sono così fortemente sentite e altrettanto fortemente valorizzate a livello personale, familiare e sociale da indurre una rapida elusione delle emozioni negative provocate dal parto. Esse vengono così confinate in uno spazio di esperienza che non si traduce in parole né in elaborazione mentale.
Un dato allarmante che emerge dalla ricerca e che dovrebbe destare l’impegno di ogni reparto di ginecologia ostetricia e di TIN è che tutte le madri di bambini ad alto rischio che, subito dopo il parto, vedono il neonato ricoverato nelle TIN, manifestano molti sintomi del disturbo post traumatico da stress, anche a distanza di mesi dalla dimissione del figlio. Purtroppo però sono ancora molto poche quelle che vengono tempestivamente inviate dallo psicoterapeuta e ciò a discapito della loro salute psichica, di quella dei loro bambini e del benessere della coppia coniugale.
E’ fondamentale sottolineare come nel campo della psicotraumatologia, i clinici possano verificare continuamente quanto i traumi attuali (del presente) riattivino in tutto il loro potenziale i traumi passati non sufficientemente metabolizzati, magari in apparenza sopiti, in una sorta di effetto “valanga” che rischia di travolgere l’equilibrio emotivo della puerpera, già messo alla prova dalla nuova fase di vita.
E’ riportato con evidenza in letteratura come gli eventi traumatici passati e recenti vissuti dalla puerpera, se non metabolizzati, abbiano delle ricadute molto significative:
- sulle capacità di sintonizzazione emotiva con il neonato, (con conseguenze immediate sull’avvio e l’andamento dell’allattamento al seno);
- sulla costruzione di un “attaccamento sicuro” del bambino alla madre, fondamentale fattore di protezione rispetto all’insorgere di problematiche psicopatologiche sia in età evolutiva sia successivamente, in adolescenza e nell’età adulta;
- sulla propria salute psichica: il potenziamento del senso di efficacia e la riduzione del senso di inadeguatezza conseguenti ad una buona sintonizzazione con i bisogni del neonato portano ad una minore probabilità di un esordio depressivo patologico nel post partum.
Un lavoro di prevenzione volto a promuovere salute fisica e mentale per madre e neonato non può prescindere da un intervento psicologico tempestivo e mirato, qualora ci sia stato un aspetto traumatico nel parto (rischio di sofferenza per il neonato, rischio di vita per la puerpera, parto con interventi vissuti come fortemente invasivi e “violenti”, parto prematuro, parto in urgenza)
In particolare l’EMDR è uno strumento terapeutico di notevole efficacia, che permette di lavorare sui nodi critici e sulle risorse della persona facilitando o sbloccando il naturale processo autoriparativo della mente rispetto ad eventi traumatici. L’EMDR è uno degli strumenti di elezione nella psicologia dell’emergenza (catastrofi naturali, catastrofi causate dall’uomo, incidenti, gravi lutti…). E’ indicato nelle linee guida dell’Onu per gli interventi sulle popolazioni traumatizzate e sui soccorritori.
Il lavoro attraverso le immagini, le cognizioni negative, le sensazioni fisiche e le emozioni, quindi un lavoro che tocca più livelli della puerpera, sembra poter favorire il processo di sintonizzazione affettiva con il neonato che costituisce una premessa basilare per la costruzione di un legame di attaccamento sicuro (ed anche per un buon allattamento). Esiste una vastissima letteratura sull’efficacia dell’EMDR, con diversi studi anche neurobiologici (tecniche di neuroimaging) a supporto degli interventi con l’EMDR che ne indicano gli effetti a livello cerebrale. In estrema sintesi, le stimolazioni bilaterali alternate facilitano l’interconnesione tra i due emisferi cerebrali, promuovendo processi associativi più funzionali per la riparazione dei momenti più o meno traumatici e per la riattivazione e/o il potenziamento delle proprie risorse al fine di favorire la costruzione del legame mamma-bambino, unica vera prevenzione primaria in ambito psicopatologico.
Dott.ssa Barbara Fantini
Dott.ssa Luisa Fornari
L’editore di Monaco ha pubblicato il libro intitolato “Ogni terza donna”. La scrittrice, ha dedicato il libro a tutti i bambini stellati e ai loro genitori.
I bambini stellati in Germania vengono chiamati mai nati, quelli che sono morti durante il parto o quelli che sono deceduti poco dopo la loro nascita. Nel suo libro, la scrittrice dà voce alle donne che hanno perso i loro figli non ancora nati, ma non hanno rinunciato a una gravidanza con lieto fine, e anche al uomo che è sopravvissuto al dolore della interruzione della gravidanza della sua dolce meta. Queste storie dimostrano: coloro che hanno vissuto un trauma psicologico così grave dovrebbero assolutamente lavorarci su e non essere lasciati nella solitudine con il problema.
La stessa scrittrice ha affrontato un problema simile ai suoi tempi. – “Mi dispiace signora, ma non sento più il battito cardiaco del feto”, la stessa è rimasta senza parole dopo le fatidiche parole del medico durante uno dei suoi controlli di routine. Come ammette l’autrice del libro, non aveva mai vissuto un tale shock.
Gli specialisti della clinica di medicina riproduttiva del prof. Feskov hanno a che fare con storie simili ogni giorno e sanno quanto sia importante il sostegno per le famiglie che lo attraversano. Sono sempre pronti ad offrire soluzioni per coloro che sognano di diventare genitori.